Eurostar. Pianura padana dal finestrino.
Sole. Sole forte su tetti di casolari sparsi in un tratto lento tra Verona e Bologna. Soltanto da lì alta velocità. Terra nera d’inverno che dovrà attendere, ancora per mesi, nuova vita.
Sono seduto nel verso pessimistico della vita, quello con la schiena alla motrice. È quello in cui il mondo non ti viene incontro dal finestrino ma fugge via.
C’è poca gente nel vagone. È un treno feriale comodo che non è a ridosso del fine settimana. Il fine settimana è denso di epifanie di pendolari settimanali che vanno a congiungersi, a coniugarsi. Questo è un Eurostar tranquillo. Rifletto sul fatto che la tratta che sto facendo non sembri avere le caratteristiche di fulminea velocità con cui hanno dipinto l’Eurostar. Stella europea, luce d’Europa. Mi va bene così. È roba di lavoro; non ho mica brame di congiunzioni carnali con chissà quale morosa. Non ho premura. Non aver premura è di per sé un buon viaggiare.
A tratti considero l’ipotesi di cambiare posto e andare a sedermi dove le cose ti vengono incontro.
Il lato ottimista del treno.
Mi decido ad aspettare il nuovo cambio di motrice a Bologna per restare malinconico in questo verso di marcia appropriato al mio umore.
Avrei bisogno di leggere, magari il bel libro che mi ha accompagnato in questo viaggio, o di forzare qualche conversazione cortese con la collega che di fronte a me legge assorta per conto suo.
Mi lancio nel tortuoso passaggio del capire cosa mai stia leggendo invidioso che assorba i suoi sensi.
Decisamente fino a Bologna il lato pessimista del treno mi calzerà come un abito di sartoria.
Forse ho necessità di noia e di pensieri.
Bologna, comunque, è prossima.
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