Una città altoatesina, un albergo da me spesso usato.
Mi muovo di nuovo per lavoro e ripercorro sentieri battuti ricercando piccole certezze del tornare in luoghi già percorsi.
In un albergo si cerca la camera ben pulita, il bagno confortevole, tranquillità e buone luci e una confortevole prima colazione che possa essere viatico per una giornata di lavoro.
Colazione in solitudine, pertanto, necessita vero conforto.
Finisce che si mangi più che a casa; è una forma di consolazione alla solitudine.
Mi consola lei, che serve ai tavoli al mattino tra studel e cappuccini.
Sono in due, come sempre. L’altra è giovanissima, ossa lunghe, capelli biondissimi, lisci, lunghi e sorriso aperto e sbarazzino.
Lei no.
L’altra si muove agile che pare danzi; è chiaramente di ceppo austriaco. Lo si sente dalla fatica con cui arranca l’italiano.
Lei no.
Lei ha un sorriso approssimativo, un labbro appena atteggiato al buon umore, e un piglio che in realtà pariglia con severità da istitutrice.
Viso ossuto, zigomi un po’ sporgenti, importanti, e sguardo che non fa scopa col suo lavoro di servizio.
Lei è severa, forse severa dentro, professionale e fredda.
Precisa nel fare, più grande dell’altra; capello nero raccolto a crocchia antica. Pare voler essere altrove ma svolge il suo compito in modo inappuntabile. Lo stesso modo di camminare è diversissimo: l’altre molle che sembra Pippo, lei nervosa ed efficace che pare Julie Andrews.
Una punta, ma solo una punta da avventore assonnato, Mistress…
L’altra finge ammiccamento e lei no.
Mento sottile e occhi taglienti, sopracciglio severo che pare sgridarti ma, tuttavia, non inimico: una donna al lavoro.
Ossuta e scostante, almeno nel confronto con l’altra, in realtà mi rassicura.
Secca, piena di scatti a rasentare i tic nelle movenze, magra e di movenze aspre come un limone acerbo.
La colazione coniuga il salato col dolce, il caffè non pare troppo nordico, e mi consolo del giorno di lavoro che mi aspetta.
giovedì 9 ottobre 2008
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